È la strada tracciata alla fine del Cinquecento a completamento dell’area del Tridente, inclusa nel centralissimo rione Campo Marzio. Il nome della via evoca uno dei percorsi più suggestivi della Capitale, legato al fascino ed all’immagine dell’arte. Situata in posizione defilata rispetto alle principali arterie del Tridente e animata da spazi pittoreschi, via Margutta ha rappresentato infatti una forma nuova di insediamento per numerosi artisti: dal 1600 in poi generazioni i pittori e scultori hanno scelto la strada stretta e lunga come sede dei propri ateliers ed abitazioni, conferendole quel carattere bohemien ed internazionale che ancor oggi la contraddistingue. Via Margutta rientra nella zona definita dalle tre vie che aprendosi a ventaglio da piazza del Popolo giungono fino a piazza Venezia, secondo una forma viaria delineata nella prima metà del XVI secolo.
Notevole impulso venne in seguito dalla politica papale, da sempre indirizzata verso questa parte della città, in particolare con la ricostruzione ella chiesa di Santa Maria del Popolo per volere di Sisto IV in vista del grande Giubileo del 1475, che si pose come il decisivo incentivo per la successiva e rapida crescita del rione. Dopo la costituzione del Tridente in tutto questo settore territoriale, occupato per la maggior parte dagli horti di comità religiose e di importanti famiglie patrizie, prese l’avvio un processo di lottizzazione che condusse alla definitiva trasformazione dell’area.
Lungo la costa occidentale del Pincio in particolare, quella cioè compresa fra il Corso e via Margutta, si stendevano senza soluzione di continuità gli horti e i giardini delle famiglie Massimi, Naro e Grandi. Papa Paolo III, per risolvere in parte il problema degli alloggi per la moltitudine di pellegrini che giungevano nella città Santa in occasione dei Giubilei, alla metà del Cinquecento lottizzò la grande vigna di Domenico Massimi, che in parte fu incorporata nei beni dell’Ospedale San Giacomo ed in parte fu acquistata dal barbiere Margut: a quest’ultimo si lega il toponimo attuale della via, che risulta segnata per la prima volta nella pianta della città redatta dal Cartaro nel 1576. Mentre verso il fiume viveva la classe più popolare egata ai traffici del porto, in quest’ampia zona compresa fra la Collina e il Corso s’insediò una fascia sociale molto raffinata, composta da stranieri ed artisti.
La strada caratterizzata da palazzetti minori settecenteschi, è ancora animata da un’ampia fascia di verde, risultante da ciò che rimane degli antichi horti dei Naro, della vigna dei padri di Santa Maria del Popolo e del giardino dei Cenci.
Nella vasta area circolare posta all’imbocco di via Margutta, nello spazio in cui si trovava la nausomachia, sorse il complesso De Merode, costruito da Tullio Passarelli fra il 1900 e il 1903 sulla vasta area adiacente a quella dove sorgeva il Teatro Alibert, in posizione d’angolo fra la via omonima e via Margutta: era uno dei più bei teatri della Roma settecentesca, romosso da Antonio d’Alibert ai primi del secolo sul sito del preesistente palazzetto fatto costruire nel 1660 da suo padre Giacomo, promotore a sua volta del teatro di Tor di Nona, per il gioco della pallacorda. Sia il Tor di Nona che l’Alibert furono i primi teatri romani ad ospitare esibizioni femminili. Proseguendo alla volta di piazza del Popolo, sul lato di via Margutta verso il Pincio, quello cioè ancora definito da molti spazi destinati a cortili e giardini, si incontra la Fontana degli Artisti, realizzata nel 1927 dall’architetto Pietro Lombardi, nella quale vengono rappresentati un insieme dei simboli degli artisti. Da una originale base triangolare si alzano due cavalletti da pittore sulle cui mensole poggiano i due mascheroni, uno triste l’altro allegro, atti a sottolineare in modo enfatico le alterne fortune della categoria.
Una fontana, elemento architettonico unico della via, nella quale è possibile riscontrare la magica atmosfera e l’esclusiva filosofia della strada fonte di ispirazione per l’ideazione del logo e dell’immagine del “Premio Margutta - La via delle Arti”.